Relazioni e comportamenti ossessivi: quando la gelosia è reato

L’attaccamento morboso può integrare il reato di maltrattamenti quando si attua con comportamenti ossessivi ai danni del partner.

Teniamo bene a mente questa formula. Nella concezione comune, un fidanzato o un marito geloso è un atteggiamento che spesso fa piacere, dà un senso di protezione e affetto esclusivo. Ma se esiste un proverbio che recita “il troppo storpia” qualcosa deve voler dire.

Quando ci troviamo di fronte ad una situazione in cui l’attaccamento affettivo diventa morboso e malato, arrivando a privare il partner della propria libertà, si può parlare di reato di maltrattamenti in famiglia. Questa espressione ci fa pensare subito alla violenza fisica, alle percosse, agli insulti. In realtà anche tutti quei comportamenti di vessazione psicologica che provocano una vera Difatti, i maltrattamenti in famiglia non sussistono solo con percosse, lesioni, ingiurie e minacce ma anche da tutti quegli atti di vessazione psicologica che si trasformano in una vera e propria sofferenza morale.

Stiamo parlando della gelosia. Ma quando esattamente si configura il reato? Abbiamo provato a chiarirlo in questo articolo.

Far vivere il partner in un costante stato di ansia: la gelosia può diventare un reato

Partiamo dal principio: perché possa scattare il reato è necessario un comportamento manifesto e riconoscibile, non basta la semplice mania mentale. Quindi la gelosia morbosa deve sfociare in comportamenti ossessivi, maniacali e in limitazioni oggettive della vita del partner. Questo il punto di partenza. Comportamenti tipici e frequenti potrebbero essere continue contestazioni di tradimenti inesistenti, il controllo ossessivo del telefono del partner, il pedinamento e tutto quello che fa vivere l’altra persona in un costante stato di ansia. In questi casi l’illecito penale che viene contestato è quello di maltrattamenti contro familiari e conviventi.

Ma c’è di più: in una eventuale causa di separazione, un comportamento del genere potrebbe arrivare a comportare l’addebito di separazione e quindi la perdita del diritto al mantenimento e dei diritti successori.

Leggi anche: Spiare lo smartphone del coniuge è reato?

Quali sono i comportamenti incriminati?

Secondo la Suprema Corte di Cassazione, l’assillare costantemente il partner con continui comportamenti ossessivi e maniacali, provati da una gelosia morbosa e tali da causare importanti limitazioni e condizionamenti nella vita quotidiana e nelle scelte lavorative, è sufficiente per configurare il reato. A questo si aggiunge l’intollerabile stato d’ansia che la vittima vive ogni giorno a causa di atteggiamenti come l’insistente contestazione di tradimenti inesistenti, l’ispezione costante del telefono del partner, la verifica degli orari di rientro a casa, il controllo degli spostamenti, i ripetuti insulti: tutto ciò rientra nel caso di “abituale vessazione psicologica” sanzionata dal Codice penale.

Anche i comportamenti non violenti, che si arrestano alla soglia della minaccia, possono essere penalmente rilevanti ai fini del reato di maltrattamenti in famiglia se rientrano “In una più ampia e unitaria condotta abituale idonea a imporre alla vittima un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile”.

“Abituarsi” a questo stato di cose fa sì che si subiscano per anni vessazioni e soprusi senza essere in grado di alzare la testa. Nella maggioranza dei casi non è una questione di forza di volontà ma di disperazione e isolamento dovuti a una situazione che sembra senza via uscita. Ma una soluzione esiste: denunciare i maltrattamenti, affidarsi ad un avvocato competente, sono la via diretta per riprendersi la propria libertà di individuo. Prenota ora una consulenza gratuita con i nostri avvocati esperti in Diritto in famiglia, la vita può essere diversa.

Leggi anche: Divorzio, quando l’assegno di mantenimento è carico della moglie